Ti capita mai di stupirti per la forza, il coraggio e l’entusiasmo delle persone che incontri?
Ti succede di arricchirti confrontandoti con chi ti circonda?
Sai che la rete di cui fai parte è importantissima per il tuo benessere?
The “good” Introduction
Ieri sera, ho guardato una puntata di “The Good Doctor”. Lo so quando mi ci metto sono un po’ monotematico 😊
Chi mi segue sa che spesso ultimamente, oltre a vederlo, lo cito anche. Mi regala tantissimi spunti di riflessione. Ieri sera non è stata da meno. Una delle protagoniste, la Dottoressa Brown, decide di fidarsi della persona sbagliata esponendo a dei rischi evitabili lei stessa, un collega e uno dei suoi supervisori.
È vero che tutti e tre accettano di fidarsi, ma si comprende molto chiaramente che nessuno avrebbe preso quella decisione se non ci fosse stata la D.ssa Brown a insistere. Si trova davanti a un paziente nuovo che non si può permettere i raggi all’addome, perché è sprovvisto di assicurazione sanitaria.
Questo aspetto fa scattare il suo lato crocerossino che si mantiene anche quando scopre che il dolore è dovuto a qualcosa di illecito che sta facendo solo per sopravvivere. Impietosita dalla situazione, cerca di fare di tutto per salvarlo. Qualcosa da dentro la spinge, la trascina.
In principio
La situazione personale della nostra sfortunata protagonista è complessa. Ha da poco perso la mamma ed è in crisi perché non riesce a elaborare in modo efficace il lutto. Le torna sempre in mente il monito della madre: sarai sempre come me. Ti fiderai sempre delle persone sbagliate. Nessuno ti amerà eccetto me.
Queste frasi ripetute un’infinità di volte le rimangono scritte dentro. Così, rimane sempre a una giusta distanza da tutti. Giusta per non permetterle di generare rapporti profondi e costruire un rete relazionale forte e contributiva. Le rimane così addosso tanto freddo. Il freddo di chi è solo.
Quel giorno quando incontra questo ragazzo che non le chiede nulla e, in realtà, vorrebbe scappare per non venire scoperto, le ritorna in mente una scena della sua infanzia. Quand’era piccola e povera, per vivere si era ritrovata a rubacchiare presso i supermercati.
Una scelta di cui per tanto tempo si è vergognata e non ricorda con piacere. Ma che quel giorno ritorna protagonista nella sua mente. A un certo punto smise di percorrere quella strada. Accadde qualcosa che la fece desistere.
Fu colta in flagrante. L’intera partita di cibo che stava cercando di portare fuori sotto la sua giacca, le cadde per terra vicino all’uscita, davanti alla sicurezza. Il cuore le batteva a mille, sudava a freddo. Cercò di rimettere tutti i cibi sotto la giacca con la consapevolezza che la guardia l’avrebbe presa in un secondo.
La guardia come da manuale le si avvicinò. Ma, contrariamente, a quanto si era immaginata la aiutò a riprendere la roba e, contemporaneamente, le disse che quel che stava facendo non era corretto. Comprendeva la necessità di mangiare. Ci doveva essere un altro modo.
Dietro quelle parole non c’era un giudizio morale, c’era un modo per spingerla gentilmente verso una via diversa. Sentiva che quel gesto le stava dando la possibilità di vivere in modo diverso e nuovo.
Decise quel giorno di trovare altre strade per sopravvivere. Strade oneste. Così, quando incontra quel paziente, vuole assolutamente passare il favore (quasi come fosse parte del progetto raccontato nel film “Un sogno per domani”) che le era stato fatto quand’era adolescente.
Doveva assolutamente regalare a questa persona che si diceva profondamente (come lei all’epoca dell’ultimo furto) pentita, una nuova possibilità. Come fece la guardia con lei.
Empatia portami via
Il piano sembrava funzionare appieno. Il paziente stava meglio e la polizia sarebbe venuta a conoscenza della refurtiva solo dopo che il paziente fosse riuscito a uscire dall’ospedale. Tutto filava liscio come l’olio.
Da tanto non si sentiva così leggera. Si sentiva euforica per aver compiuto la sua missione. Anche lei poteva dire di aver aiutato qualcuno. Come se salvare la vita dei pazienti, passando oltre le 12 ore in ospedale, non fosse abbastanza 😉
I suoi neuroni specchio l’avevano ormai fatta rispecchiare in quel paziente. Sentiva di dove agire. Di dover offrire una mano a chi non gliela aveva nemmeno chiesta. Ecco in azione quella che Daniel Goleman chiama l’empatia compassionevole. Il terzo livello dell’empatia.
L’empatia è la capacità di camminare nelle le scarpe degli altri. Ci sono, secondo Daniel Goleman 3 livelli di empatia. Il primo è l’empatia cognitiva che ci permette di comprendere razionalmente quel che l’altro sta vivendo. Il secondo livello è l’empatia emozionale, ossia la nostra capacità di comprendere razionalmente ed emotivamente l’altro.
Il terzo livello è quello mostrato dalla D.ssa Brown, l’empatia compassionevole. Comprende quel che sta accadendo all’altro, comprende le sue emozioni e sente una spinta da dentro che le dice: “Vai e aiuta questa persona, fallo per lui e per te”.
Vi potreste domandare quale sia il livello giusto … Ve lo state domandando?? 😊
Non so se vi sorprenda, ma non esiste. Ogni livello agito è funzionale al momento che stiamo vivendo nel qui e ora. Il costo energetico passando dal primo al terzo è molto alto, per cui è importantissimo monitorare la nostra energia per capire se possiamo permetterci di scendere ai livelli più profondi.
Serve avere consapevolezza del motivo reale per cui scegliamo di passare da un livello all’altro. Una scelta ematica inconsapevole ci mette a rischio, facendoci risucchiare energeticamente.
Per questa ragione, può essere utile proteggersi da persone che ci buttano addosso le proprie difficoltà, i propri malumori, senza avere reale interesse a cambiare le cose. Liberarsi di queste zavorre emotive non è male per la nostra incolumità energetica.
Il nostro benessere arriva proprio dalla capacità di tessere una rete di relazioni di qualità.
Altre volte, infine, dobbiamo combattere addirittura contro noi stessi. A me personalmente è capitato spesso. 😊
Alcune volte, inconsapevolmente scegliamo un livello di empatia utile per noi. Sembra contro intuitivo, lo so. Scegliamo di aiutare senza ascoltare il reale bisogno di chi abbiamo di fronte. Questo errore si commette per una semplice ragione. Aiutare fa sentire importanti e produce un aumento di serotonina.
Ma serve realmente aiutare se l’altro non ne ha reale bisogno?
Sembra proprio di no. All’inizio, è vero, ci fa sentire bene. Sentirsi indispensabili per l’altro dà un senso di potere. Poi, però, quando la situazione di solito si ripete e la schicchera emotiva perde intensità, iniziamo a scoprire che non ci piace più tanto e che l’altro sembra che si approfitti del nostro aiuto.
Un aiuto che nemmeno ha chiesto!!! E così in noi cresce la sensazione che le persone intorno ci sfruttino, quando in realtà siamo noi a invadere per un tornaconto inconsciamente personale. Tutto ciò abbassa la serotonina e ci toglie benessere.
Probabilmente, la scelta di Clear Brown è proprio legata a quest’ultima distorsione empatica. Cerca di aiutare l’altro più per i propri bisogni che per aiutare per davvero l’altro. La sua idea di poter passare il favore che le era stato a sua volta passato, le fa perdere la lucidità necessaria per vedere chi ha di fronte.
Così la scarica di serotonina (offrire aiuto la rende in posizione di forza rispetto al paziente che sembra smarrito) e di endorfine (il sollievo di essere diversa dalla madre e di essere in grado di aiutare le persone giuste, le copre per un po’ il dolore) la inebriano. Tutto così le sembra leggero e piacevole.
La sbornia (sembra effettivamente un po’ alticcia 😊) le passa solamente quando le dicono che la persona è fuggita … col malloppo, tradendo completamente la sua fiducia. La doccia è davvero fredda. Si ferma davanti alla porta dell’ospedale delusa, arrabbiata. Per sé e per i colleghi coinvolti.
Sente che forse ha ragione sua madre. Lei non saprà mai avvicinare le persone giuste.
Di lì a poco, si avvicina il supervisore, il Dr Melendez. La D.ssa Brown gli confida il dispiacere per quanto avvenuto e, soprattutto, la gran paura di essere come sua mamma. Brava solo a fidarsi delle persone sbagliate.
Qui c’è la bellezza di avere accanto la giusta rete. Il Dr Melendez la guarda intensamente e le dice con dolcezza che ci sono qualità peggiori nel mondo che cercare di vedere nelle persone il meglio.
“Se sei una persona di valore, ogni tanto sarai destinata a sentirti come un idiota. Oggi hai sbagliato e sono grato di lavorare con te.”
Sarebbe bello costruire un mondo dove il Dr Melendez non sia una eccezione, ma una regola.
Cosa mi porto a casa
Anche io mi sono sentito tante volte idiota, come la protagonista di questo articolo. Avrei voluto essere meno generoso, meno disponibile. Più str … davanti a tanti gesti che mi sembravano ingrati.
Volevo così smettere di dare una mano alle persone che avevo intorno. Volevo smettere di fidarmi ciecamente degli altri e di investire così tante energie per loro. Poi mi sono svegliato.
Durante quest’ultimo anno pandemico, ho scoperto che può esistere un equilibrio tra essere generosi, avere fiducia nel prossimo, sentirsi protetti nel cammino. L’ho scoperto insieme al team DOSE (un gruppo di persone speciali che pratica i principi del benessere insiti in DOSE, Dopamina, Ossitocina, Serotonina, Endorfina). Il benessere passa anche per la rete di relazioni che ci sostiene.
Un rete è qualcosa di speciale. Quando cadi ti protegge e sostiene. Quando vuoi saltare, ti slancia. Quando vuoi camminare ti dà la possibilità di spostarti da un punto all’altro.
La rete è fatta di persone che sanno danzare con le tue qualità, con i tuoi difetti, danno e ricevono feedback anche quando è duro o anche quando sembra apparentemente inutile, permettono la possibilità di errori, sanno dire di no e accettare i no, sanno ridere a crepapelle, sanno piangere, sanno esprimere una giusta dose di rabbia, sanno abbracciarsi in presenza, ma anche a distanza con il solo sguardo, sanno scegliere i livelli di empatia più funzionali, …
Questa è la rete di persone che mi auguro di avere intorno sia nella mia vita personale, sia nella mi vita lavorativa. E me lo auguro anche per te che hai dedicato tempo a questa lettura 😊.
PS: Grazie a tutti i D.O.S.E. per aver ispirato questo articolo, senza l’esperienza di viaggio insieme non credo sarei riuscito a comprendere così bene l’importanza della rete e gli effetti benefici che può portare.